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Myanmar in festa, San Suu Kyi è libera
Marco MasciagaCronologia articolo14 novembre 2010
Questo articolo è stato pubblicato il 14 novembre 2010 alle ore 06:38.
Marco Masciaga
NEW DELHI
Aung San Suu Kyi, il simbolo della lotta per la democrazia nella ex Birmania, è stata liberata ieri dalla giunta militare di Yangon e per prima cosa si è rivolta a migliaia di sostenitori raccolti intorno alla sua abitazione chiedendo «unità» e dando loro appuntamento per oggi davanti alla sede del suo partito. La conferma che il regime avrebbe rispettato la scadenza della sua condanna agli arresti domiciliari è arrivata ieri verso le 17 locali quando le barricate che da anni bloccano l'accesso all'abitazione del premio Nobel per la Pace sono state rimosse. Di lì a poco alcuni funzionari del governo sono entrati nel bungalow della leader democratica e le hanno letto l'ordine di rilascio.
A quel punto le persone accorse davanti ai cancelli della casa di Aung San Suu Kyi sono diventate prima centinaia e poi migliaia. Tutte lì per poter rivedere e riascoltare la combattente per la democrazia che per 15 degli ultimi 21 anni è stata prigioniera di uno dei regimi più spietati e impenetrabili del mondo. «Se lavoreremo uniti - sono state le sue prime parole da donna libera, pronunciate sporgendo il capo al di là di una cancellata di ferro - raggiungeremo i nostri obiettivi. Abbiamo molte cose da fare». Parole che hanno suscitato urla di gioia e lacrime di commozione tra i suoi sostenitori, ma che difficilmente saranno suonate gradite ai generali che nelle prossime settimane trasferiranno, almeno formalmente, il potere a un governo civile.
Sullo sfondo della liberazione di San Suu Kyi ci sono infatti le elezioni che domenica scorsa hanno visto tornare alle urne milioni di birmani dopo 20 anni dall'ultima consultazione. Un voto che da più parti è stato bollato come una farsa inscenata per consentire all'attuale establishment militare di continuare a governare il paese indossando abiti civili. Ma che, almeno nelle intenzioni del regime, dovrebbe presagire, assieme alla liberazione di Aung San Suu Kyi, a una nuova e meno conflittuale stagione nelle relazioni internazionali di Myanmar. Uno dei paesi più poveri del continente, ma anche uno dei più segretamente corteggiati per le sue risorse naturali e la sua collocazione strategica ai confini di India, Cina e Sud Est Asiatico e con un prezioso porto affacciato sulla Baia del Bengala.
I In queste prime ore valutare appieno l'impatto della sua liberazione sulla scena politica birmana non è facile. Da una parte è innegabile che Aung San Suu Kyi (anche in virtù della sua discendenza dal padre della patria e martire dell'indipendenza, generale Aung San) sia di gran lunga la figura politica più popolare del paese. Dall'altra, come sottolinea David Mathieson di Human Rights Watch, la leader democratica «potrebbe ritrovarsi con meno libertà d'azione che in passato» e dopo sette anni di lontananza dalla scena politica, «avere di fronte un governo più forte che in passato e al suo fianco un partito più debole».
È alla luce di queste considerazioni che l'appello all'unità lanciato ieri dal premio Nobel suona come primo tentativo di ricompattare l'opposizione dopo che alcuni transfughi del suo partito, la National League for Democracy, si sono presentati al voto, ignorando il suo appello al boicottaggio. Certo è che nelle prossime settimane anche il regime sarà costretto a fare delle scelte, badando a non commettere errori nel decidere quanta libertà concedere ad Aung San Suu Kyi e che linea adottare in caso di proteste che potrebbero sfociare in manifestazioni di massa simili a quelle capeggiate dagli studenti universitari nel 1988 e dai monaci buddhisti nel 2007.
Un pericolo, quello di una rivolta popolare, che non può essere escluso tout court: per l'indubbio carisma di Aung San Suu Kyi; per il clima di euforia suscitato dalla sua liberazione e per la sfacciataggine con cui le elezioni sembrano essere state truccate. Non solo. Se il governo si sta sottoponendo a una delicata fase di transizione è proprio per migliorare la propria immagine agli occhi del mondo. Un processo a cui certo non gioverebbe una repressione violenta sulla falsariga di quelle compiute in passato.
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UN LUNGO CALVARIO La pasionaria dei diritti umani
San Suu Kyi nasce a Rangoon (oggi Yangon), in Myanmar, nel 1945. A 15 anni lascia il paese con la sua famiglia. Dopo 16 anni trascorsi nel Regno Unito con marito e figli, San Suu Kyi torna in Myanmnar per accudire la madre malata.
È il 1988. Dopo le manifestazioni contro il regime, soffocate nel sangue, Suu Kyi inizia la sua attività politica con comizi in tutto il paese a favore di un cambiamento democratico. Fonda la Lega nazionale per la democrazia (Lnd), che ottiene una vittoria schiacciante alle legislative del 1990, ma la giunta militare, al potere dal 1962, non riconosce i risultati
Un anno prima, nel luglio del 1989 i generali birmani mettono San Suu Kyi agli arresti domiciliari nella sua villa, ci resterà fino al 1995
Nel 1991 riceve il premio Nobel per la pace. Nel 2000 torna agli arresti domiciliari per poi esser scarcerata due anni dopo. Nel maggio 2003 un convoglio su cui viaggiava la leader dell'Ldn con alcuni membri del partito cade in un'imboscata. Muoiono molte persone. La pasionaria birmana viene nuovamente arrestata
IL MONDO APPLAUDE ALLA LIBERAZIONE
Barack Obama
«Gli Stati Uniti plaudono al suo rilascio, lungamente atteso», ha detto il presidente degli Stati Uniti Barack Obama in un comunicato, chiamando San Suu Kyi «la mia eroina» ed esortando la giunta militare a rilasciare anche gli altri 2.200 prigionieri politici.
Ban Ki-moon
Felice per il rilascio, il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ha però deplorato che Suu Kyi sia stata esclusa dalle elezioni di domenica scorsa
Voci d'Europa
Il governo italiano ha auspicato che la sua liberazione «rappresenti un primo segnale di apertura del governo di Yangon per avviare un dialogo con l'opposizione e un processo di apertura sul fronte delle libertà democratiche e il rispetto dei diritti». Parigi ha ammonito il regime birmano contro «ogni ostacolo alla libertà di movimento e di espressione» di San Suu Kyi. Londra ha sottolineato che il rilascio «avrebbe dovuto avvenire da tempo»
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DA: IL SOLE 24 ORE
Troppo bello e esaltante per non condividere.
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