secondo una tradizione di origine celtica, il mese di febbraio ha delle specifiche valenze spirituali.
ecco cosa si dice in alcune leggende delle valli biellesi:
Nella Valle del Cervo il mese di febbraio era tradizionalmente diviso in tre parti che prendevano il nome di ampüre, cioè impure. Il termine si riferiva in realtà alle anime che, in questo periodo, tornavano per purificarsi, passando sugli alti crinali delle montagne. Nella leggenda, il misterioso passaggio degli spiriti, capaci in questa corsa invisibile di lasciare dietro di loro le scorie delle imperfezioni passate, era accompagnato da un rito con cui gli abitanti si proteggevano dalle stregonerie. Le anziane del paese dicevano che nei giorni di febbraio si potevano tessere delle pezzuole di canapa per allontanare i malefici delle masche. Il feticcio era quindi, in questo caso, una semplice, ruvida perzza che uomini e donne potevano appuntarsi alla camicia, sicuri che in questo modo non avrebbero potuto subire fatture. La convinzione era che le streghe agivano solo per magia di contatto; in altri termini potevano fare una fattura, gettare il malocchio, soltanto toccando le persone, gli animali o gli oggetti che intendevano colpire. Infatti, a Novecento inoltrato sussisteva ancora l'abitudine di battere la zangola con un bastone quando il latte tardava a trasformarsi in burro durante la lavorazione. Se si trattava di un maleficio, le legnate avrebbero automaticamente colpito la masca responsabile.
Secondo le credenze, la strega portava con sé un'olla (l'ulet) dove teneva unguenti e filtri; probabilmente si riteneva che uno dei bersagli preferiti e più facile dei malefici fossero gli animali sui pascoli, poiché era abitudine delle donne che mungevano le vacche segnare con una croce il ventre dei bovini (gesto che era accompagnato da un'invocazione a Dio) prima di lasciare la stalla. Sotto le pendici del monte Mazzaro, la tradizione individuava il Pian di Cavij (Pian dei Capelli) dove si riteneva che periodicamente avvenisse il sabba chiamato bal du sablo. Il nome della radura nacque da un'altra credenza secondo la quale si potevano rintracciare spesso sul posto delle ciocche di capelli. Anche i cerchi nell'erba o qualsiasi spiazzo in cui gli steli risultavano piegati, erano considerati segni del passaggio delle masche.
Nei pressi dell'abitato di Piaro, una parete rocciosa sarebbe stata un altro luogo deputato per i raduni delle streghe; al ballo faceva seguito un insolito gioco ce consisteva nel gettare una masca nel precipizio e poi farla magicamente risalire. La suddivisione delle "impure" in tre parti era fatta di nove giorni in nove giorni e si riteneva che questa articolazione indicasse anche l'andamento della temperatura; nelle prime due parti il freddo aumentava gradualmente, nella terza diminuiva. Il collegamento fra la leggenda delle anime che attraversano le montagne per purgarsi e il periodo invernale in cui è situata, chiama in causa naturalmente la festa della Caldelora, a sua volta questa appare una sovrapposizione alla festività celtica del primo febbraio, Imbloc, che significa appunto "purificazione". Sono poche purtroppo le notizie in merito a questa ricorrenza celtica, ma sicuramente intendeva individuare il periodo criciale dell'inverno come è evidente dai nomi gallici dei mesi. Il periodo fra gennaio e febbraio corrispondeva al mese di Anagantios il cui significato letterale è traducibile con "incapace di uscire"; il mese successivo, collocato tra febbraio e marzo, prendeva il nome di Ogronios che significa "tempo di ghiaccio". Sembra quindi più evidente che la relazione instaurata fra il freddo e il ritorno dei morti per la purificazione, sia una sopravvivenza nella tradizione biellese del mondo gallico.
L'abitudine di tessere una pezzuola come feticcio è palesemente un corollario di quella che un tempo doveva essere una festa, cioè un periodo in cui la comunicazione con l'Aldilà è fortemente contrassegnata. La tessitura, per la magia simpatica, rappresenta invece di per sé un possibile ostacolo ai malefici: il filo intrecciato non consente al male di penetrare quando questo è reso magico dalle ampüre.
Le fate
In costante antagonismo con le masche sono le fate che popolano anche i monti biellesi. Una leggenda riporta che le stelle alpine nacquero dalle lacrime di una fata innamoratsi di un mortale. Le fate di sovraumana bellezza, avvolte in candidi veli di trina che accentuano le forme delicate, bianche come la neve, corrono nelle placidi notti stellate sui fianchi delle montagne, ballano e trascorrono idilli coi pastori. Vivono in magnifiche dimore, rilucenti d'oro, di cristallo e di gemme, situate nella parte più alta dei monti, vicino al cielo, in una corte allegra e spensierata. Sono buone e escono dalle loro dimore per proteggere i montanari, gli scalatori, i pastori e constratando le masche.
tratto dal sito :
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